“Perché la malinconia è diventata malattia?”

giugno 8, 2010 at 12:24 PM (Senza categoria)

Una volta si chiamava malinconia. Ne discutevano filosofi e  poeti, e i pittori la rappresentavano come una donna assorta, o un uomo appena incupito, entrambi seduti a meditare, a contemplare il vuoto, il corpo appena abbandonato, il capo chino, gli occhi lontani.  Era un sentimento, è diventata una  malattia.

E’ successo da quando la chiamiamo depressione.  “E’ possibile  – chiede Giovanna, a proposito dell’Oblò di ieri –  che anche la depressione, come la follia, sia stata colonizzata dal mondo farmaceutico, per cui tutti risultiamo stressati e bisognosi di psicofarmaci, mentre invece siamo solo soli e sfiduciati?”.

E’ così. Secondo le stime vaganti sui media, specialistici e non, la depressione colpisce mezza popolazione, includendo adesso categorie sinora risparmiate come bambini, ragazzi e adolescenti. Tutti depressi tutti. La vendita di psicofarmaci, benzodiazepine, ipnoinducenti, ansiolitici rappresenta una ghiottissima fetta di mercato per le aziende farmaceutiche, e d’atro canto non sarà un caso che anche nei supermercati siano sempre più presenti prodotti vagamente erborei ed ecologici, a promettere energia, sonni migliori e buonumore.

Patologizzare la tristezza, ricondurla a un fatto chimico e risolverla chimicamente,  è facile e conveniente. Aiuta a non cercare altrove l’origine di un malessere, a non indagare oltre, a nasconderla a se stessi o agli altri.

L’etichetta della depressione è comoda, come ogni etichetta. Ogni segno – ci avete fatto caso ? – può esserle ricondotto, mancanza di sonno ed eccesso di sonno, inappetenza e bulimia, astenia e iperattività, abulia e nevrosi. Per ognuno di essi, batterie di flaconcini e bottigliette pronti a soccorrere, con l’avvertenza beffarda di  non assumere la dose per un periodo prolungato, quando tutti sanno, medici per primi, che l’effetto è assicurato solo dalla continuità.

Possibile davvero che il pianeta intero sia afflitto dalla depressione ? O forse noi per primi abbiamo paura della tristezza, quella nostra e quella degli altri, e vogliamo nasconderla con ogni mezzo, come fosse un virus, uno spettro sociale?

1 commento

  1. silvana said,

    Leggo saltuariamente La Sicilia, e il suo oblò-g dell’altro giorno sulla malinconia “che è diventata una malattia” mi ha lasciato l’amaro in bocca. Parlo da nuova vittima, gentile signora, di quella depressione che è per lei sinonimo di malinconia, e che le assicuro non ha a che fare con la depressione più di quanto una serie di ingredienti sparsi su un tavolo equivalgono ad una torta cotta in forno. Può essere un ingrediente, ma il tutto è assai più di una sua parte.
    Nella malinconia, lei mi insegna, è gradevole crogiolarsi, persino quando è dolorosa, perchè in essa qualcosa di dolcissimo e struggente si accompagna ai ricordi o ad un presente che non vorremmo abbandonare. Nulla di tutto ciò è la depressione. Essa è un abisso che ti divora dall’interno, una perdita totale di interesse per il mondo e per tutto ciò che prima ci allettava, un nemico potentissimo e agguerrito che divora ogni energia, e da cui la moderna medicina sta tendando di liberarci. Sì, signora, perchè io non credo affatto che sia un male del nostro tempo, ma che sia semplicemente, adesso, diagnosticato e diagnosticabile.
    Il suo resoconto, purtroppo, alimenta le più stantìe e pericolose credenze popolari che assimilano tristezza e depressione (non saprò mai spiegarLe a sufficienza quanto sia errata questa assimilazione), annullando il ruolo dello specialista nel prescrivere farmaci (come se la gente se li prescrivesse da sola, senza essere seguiti da psichiatri e psicologi) farmaci che, ancora una volta, lei assimila in un’unica categoria, i fantomatici “psicofarmaci”, creando confusione nei non specialisti quando mette insieme antidepressivi, che andrebbero assunti con continuità, ed ansiolitici, che vanno assunti invece per brevi periodi, in quanto creano dipendenza; due categorie farmacologiche completamente differenti.
    E l’ultima, grossa, confusione è quella di asserire che il farmaco costituisca un rifugio per non guardare dentro se stessi, mentre chiunque abbia avuto a che fare con questo tipo di patologie sa benissimo che qualunque serio psichiatra prescrive sempre terapia farmacologica affiancata e sostenuta da psicoterapia, che porta a scavare dentro di sè, eccome, persino in soggetti poco collaborativi.
    Forse le sembrerà una difesa dalla parte dei medici, da chi medico non è, ma ritiene di essere abbastanza informato su una materia troppo delicata con cui convive quotidianamente e in prima persona.
    Mi scusi, non posso tacere di fronte a tanta approssimazione. Stampa e media dovrebbero contribuire ad una corretta informazione scientifica, non alla loro distorsione e semplificazione. Capisco che il suo scopo non era di fare scienza, ma credo neanche di alimentare falsità di pensiero.
    Su una cosa sono completamente d’accordo con lei. La scienza che progredisce fa la fortuna delle case farmaceutiche, ma lo stesso vale per la lotta al cancro o all’AIDS. E’ deprecabile, ma è anche la nostra fortuna.

    Le rammento da ultimo la testimonianza personale di Annalisa Manduca, giornalista Tv sparita dagli schermi, che da un recente programma televisivo, in lacrime, scongiurava la platea dei soggetti afflitti da depressione di non intestardirsi, come ha fatto lei, a fare gli eroi e rifiutare i farmaci ad ogni costo, perchè non si ricava altro beneficio che cronicizzare la malattia e renderne quasi impossibile l’estirpazione.
    Parola di giornalista.

    Cordialmente
    Silvana

Lascia un commento